mercoledì 25 dicembre 2013

La zattera rischiosa. Buon Natale dal Maestro delle Balene.

yes

Vorrei consegnare al giorno di Natale una visione-riflessione che in questi ultimi tempi mi sta accompagnando, prendendo corpo piano piano. Vedo una zattera, in mezzo ad un mare ora agitato, ora in calma piatta. Non è una visione serena, anzi, si porta un carico di angoscia. Quella dei suoi passeggeri, un gruppo di sopravvissuti. Gente di varia provenienza, per ceto, nascita, età, geografia.
So solo che c'è stato un prima per quella gente, una decina circa di vite. Ciascuna di esse prima perseguiva una sua traiettoria, in parte scelta, in parte motivata dai casi dell'esistenza, dalle alterne casualità, da quell'ingiusta determinazione che traccia il percorso chiamata contesto, ovvero ciò che non scegliamo ma nel quale capitiamo il giorno del nostro personale Natale, il giorno magico che è la nostra individuale Natività. Quel giorno non ci distribuisce in modo equo. La stalla in cui nasciamo è, purtroppo, il primo passo che facciamo. Buono, se il caso ci aiuta, meno buono se, invece, il caso decide di penalizzarci fin da subito.
Non partiamo tutti dallo stesso luogo, con le stesse chances.
Ciascuna di quelle persone, prima, aveva un mestiere, una famiglia, un senso da inseguire o d fortificare, o da cercare.
Poi un evento critico ha mutato la loro rotta. La grandissima nave, chiamata Occidente, su cui navigavano tutti, ciascuno secondo le proprie vite, ha iniziato a naufragare. Allora quelle vite si sono rese conto di essersi, improvvisamente, annodate assieme. I percorsi si sono necessariamente accostati, avvicinati e annodati. La crisi fa questo: ci avvicina, anche spiacevolmente.
Annoda le vite. E i nodi non sono piacevoli, mai.
Ma senza di essi, qualsiasi vela si strappa.
Per cui i nodi sono necessari.
 Il vero problema è quando i nodi non ci sono. Perché i nodi, gli odiosi nodi, tengono assieme.
Non ce ne accorgiamo, ma fanno questo.
Anche se piagano le carni, se pungolano, se costano fatica immensa sia nel momento in cui li facciamo che in quello, dolorosissimo, in cui dobbiamo provare a scioglierli.


I sopravvissuti ora sono su questa zattera, in preda alle condizioni critiche e imprevedibili di questo mare. Non conta più il mestiere fatto un tempo, il tenore di vita, la traiettoria scelta. Ora è questo mare sconfinato e pauroso a determinare la loro sorte.
L'essere annodati spinge questi personaggi a sbagliare. Quelli un tempo più fortunati, incolpano quelli un tempo meno fortunati: sono quelli, col loro peso improduttivo ad avere affossato il veliero Occidente. Essi non hanno pagato il carbone per i motori eppure hanno goduto del privilegio di navigare! 
- Già, - ribattono gli sfortunati, - ma mentre voi pensavate al carbone noi curavamo i vostri vecchi, noi davamo speranza ai nostri figli facendoli studiare perché dessero anche loro carbone per voi!
 Poi ci sono quelli che vengono da altrove, che si sono imbarcati di nascosto oppure chiedendo un permesso sperando in tempi migliori: a loro i sopravvissuti rimproverano di non essere veri passeggeri dell'Occidente. Il loro peso straniero ha fatto naufragare la nave, colpa del capitano benevolo che li ha fatti montare e dato loro persino delle cabine piccole! 
Gli stranieri ribattono che non si appartiene alla terra in cui nasciamo, in essa mettiamo solo radici. Ma come gli alberi protendono, dopo aver messo radici nella terra, il fusto e i rami nell'aria, così ognuno può e deve, se la vita è ingiusta, distanziarsi con dolore dalle proprie radici per trovare aria altrove. 
- E perché mai? - Ribattono i conservatori della zattera, - rimanete dove siete nati!
- E perché mai dovremmo? - Ribattono gli stranieri. - Avete sfruttato, conquistato, colonizzato, violentato la terra delle nostre radici. Se a voi hanno concesso questo, perché mai noi non dovremmo venire a prendere aria da voi?
Nel discutere, i dieci so agitano, si muovono. Desiderano far valere le proprie ragioni e violentemente sganciano i nodi delle loro vite. Così facendo, anziché stare al centro, si spostano verso i bordi della zattera e questa si sbilancia.
Così che questa si capovolge e si sfilaccia.
Chi non sa nuotare, perché non ha potuto imparare affoga.
Qualcuno più forte, si aggrappa ai tronchi.
Ma giungono gli squali e lo divorano.
Qualcuno resiste a galla finché lo sfinimento non lo trascina verso l'abisso.
Tutti, nell'attimo prima di morire, pensano che era meglio, forse, il nodo doloroso della convivenza e del compromesso.
Ma è tardi.
Ora si muore.
L'Occidente scompare.


Non ho voglia di pensieri felici, questo Natale. Sono felice delle belle emozioni che la mia vita, vita da passeggero di zattera, mi ha dato e tolto (perché seppur tolte mi hanno arricchito), felice di questo Natale, perché è il primo con la mia splendida nipote Lidia che ci sorride mentre mangiamo assieme, contenti solo di questo. Perché stare assieme è ora una fortuna, la massima.
Ma non voglio pensieri felici, nè voglio fare auguri che si appoggino ad un senso di casualità e di benevolenza divina. Come se l'anno buono che verrà dipendesse dallo zodiaco o da una qualche divinità che, quando il Mondo è sconvolto da simili tragedie (e penso alla Siria, alle rovine di Fukushima, ai quotidiani genocidi africani), sarebbe proprio ingiusta a donare a noi un anno buono. Dovrebbe prima pensare ad altro.
Se l'anno sarà buono e se questo Natale avrà un senso, gli dei, se esistono, non avranno meriti così come non avranno colpe se non sarà così.
Il destino e il presente li costruiamo. Perché il presente altro non è che il destino a cui abbiamo dato basi ieri. E forse le abbiamo date male, quelle basi.
Perché stanno crollando.
Le assi del veliero cigolano paurosamente e sappiamo tutti che l'Occidente sta affogando, miseramente.
Accettiamo, dunque, i nodi.
Accostiamoci e desideriamo condividere la sofferenza, annodando le vite, senza incolparci gli uni con gli altri, i fortunati con gli sfortunati, gli autoctoni con gli stranieri.
I vecchi coi giovani.
Tutti.
Solo se stiamo vicini e ci capiamo, capiamo che siamo parte di un unico equipaggio, sopportando e cambiando modo di vedere.
Io posso ribadire che ho messo carbone ma dovrò pur riconoscere che se mio nonno, ora, è qui sulla zattera, lo devo a quella donna straniera laggiù, che non dava carbone, ma si prendeva cura di lui.
Devo capire che siamo alberi e che cercare aria, luce e pioggia è un diritto di chiunque.
Che se l'Occidente ha un tempo infettato la terra e le radici altrui, oggi non ha alcun diritto di chiamarsi fuori. Ebbero ragione gli antichi greci: le colpe dei padri ricadono sui figli.
La memoria e la coscienza collettiva non possono venire meno.
Mai!
Non si appartiene all'Occidente perché ci siamo nati dentro. Si appartiene se decidiamo di salire su quella nave.
Il che è costruire un destino di consapevolezza nuova: stare in tanti, annodati, nel momento buono come in quello meno buono.
Ma le cose non mi pare che vadano in quella direzione.
Le varie zattere che ci stanno accogliendo, sembrano destinate tutte a fare la brutta fine di quella in cui mi imbatto ultimamente.
Io lo insegno ai bambini a tenere la zattera in equilibrio.
 A scuola io non voglio che i bambini imparino che 'stare insieme è bello'. Perché è una menzogna.
è bello stare assieme con chi amiamo e chi ci piace.
Ma non siamo destinati a questo.
Stare insieme PUO' essere bello, ma prima di tutto è faticoso.
E necessario.
Questo insegno: che stare insieme è prima di tutto necessario, che è faticoso e poi, in ultima istanza, può essere bello.
Stare insieme è uno scopo.
Da costruire senza mai abbassare la guardia.
Questo auguro a me e a voi, amati amici, per questo Natale.

Non diamo voce alle menzogne retoriche.
Regaliamoci il tempo di capire e cambiare.
Di sopportare anche il nodo doloroso.
E non mi riferisco alla croce cristiana, che mi inorridisce.
Il nodo doloroso è un laico senso di faticosa costruzione.
Sono certo che percepiremo, un domani, di avere costruito.
Faticosamente.
Ma incredibilmente con solidità.

Statemi bene e, se riuscite, non affogate!

Il Maestrodellebalene















lunedì 9 dicembre 2013

Ora che la sinistra è morta, Berlusconi ha davvero vinto.

la sinistra, o meglio quello che sopravviveva (male, malissimo) di lei, è morta. Definitivamente. Lo dice uno che non è andato a queste primarie perché, pur consapevole di essere perdente in partenza, rimane determinato a mantenere vivo quello strano progetto chiamato SEL che, con tutti i limiti che gli si è voluto affibbiare, continua a sembrarmi l'unica proposta realmente innovativa e di sinistra nel nostro paese. Ma ormai anche SEL si è sgretolata sotto l'incapacità di venire accolta, perché troppo a sinistra per essere parte di questa carcassa centrista, corrotta e malsana che è stato il PD in questi ultimi anni.
La vittoria di Renzi è il completamento finale della sovversiva rivoluzione Berlusconiana. Duole dirlo ma Berlusconi è stato l'unico uomo politico da trent'anni a questa parte capace di una vera rivoluzione. Una rivoluzione in peggio, una rivoluzione malata ma tanto forte e potente per mezzi e persuasione da invadere, infettare e capovolgere un sistema di valori, ideali e sistemi di pensiero non solo a livello sociale ma anche politico. Il Berlusconismo è divenuto sistema esso stesso ed ha corroso, inquinato e contaminato proprio la parte avversa aprendovi dentro una duplice ferita, un'ulcera bicuspidata. La divaricazione ha concesso solo due vie: o la sterile critica a Berlusconi per mantenere intatti privilegi di partito; o l'adesione al medesimo stile di pensiero e di tattiche del nemico, cioé Berlusconi stesso.
Scioccati a livello identitario, gli italiani come me di sinistra, hanno tergiversato su questa ferita purulenta. Nessuno ha voluto sanarla, richiuderla, disinfettarla. No.
Abbiamo anzi messo il dito nella piaga che giocava alla poltrona simulando critiche sterili al nemico, sperando che essa ci salvasse: in quel malefico canyon di pus, ci abbiamo messo il centro, ci hanno sguazzato i D'alema, le Finocchiaro, le Bindi, i Prodi, i Bersani.... e la piaga ha fatto cancrena e si è amputata da sola. Dopo un decennio di dolore, puzza, putredine a cielo aperto. Altri hanno intrapreso la via della seconda testa della ferita, quella in cui i berlusconiani di sinistra rottamavano, aggredivano l'altra parte del medesimo male. Renzi viene da qui, da una parte altrettanto malata, populista e rabbiosetta di italiani che al momento di scegliere, qualche mese fa, hanno optato, nel dubbio, per l'altro grande Rottamatore: Grillo. Pericoloso, anzi, pericolosissimo rigurgito fascistoide. Anche lui prodotto berlusconiano. Anticorpo berlusconiano, direi. Una sorta di malattia autoimmune che il sistema del Grande Silvio ha prodotto per poi trovarselo rovesciato contro.
Non che Civati, l'unico dei tre in gioco per queste funebri primarie, fosse cosa migliore. Ma Renzi segna la resa finale.
Non credo che ci sarà un dopo per la sinistra.
La speranza di un ritorno ai valori della sinistra.
Renzi conferma come la vera identità italiana, che la si veda da destra o da sinistra, rimanga il centro moderato d'ispirazione cattolica. L'ennesimo democristiano che, con un'adesione allo stile mediatico e piacione ben confezionato da Berlusconi, conquista l'elettorato.
Lo conquista con questa sbandierata politica del fare, anzi, con la retorica del fare che è perniciosissima perché si basa sul quantificare e non sul qualificare, sul contare e non sul valutare, sul far vedere e non sul far comprendere. La politica del fare l'abbiamo vista all'Aquila, l'abbiamo contestata a Berlusconi ma ora che si tratta si scegliere, abbiamo concesso che essa, inaspettatamente, ci convincesse. Strano, non trovate?
Renzi non è un uomo di sinistra. Non appartiene nemmeno a quell'idea ancora confusa, irreale, contraddittoria a cui molti si appellano parlando di 'una sinistra moderna ed europea'.
Vorrei che mi si dicesse, innanzi tutto, dove è questa sinistra moderna e chi la rappresenta? Blair? Zapatero? Hollande?
Dunque, posto che un Renzi, o chi per lui, s'ispirasse ad uno di questi signori, saremmo a posto?
Se così fosse, confermo la mia idea che questa sinistra nuova non mi piace. Se l'Europa, che come si vede sta virando spaventosamente, di nuovo a destra, cova in sé una sinistra di quel tipo, allora diciamolo. Ancor prima che qua in Italia, la sinistra è morta ovunque.
L'ambiguità con cui Renzi ha risposto su Sky alla domanda sui matrimoni paritari e sui diritti di adozione delle coppie Gay è emblematica del fatto che quell'uomo non garantirà una vera, significativa riforma.
Rottamerà. Ma dovrà cavalcare e appagare l'elettorato che lo ha così potentemente elevato oggi. e quell'elettorato è fatto in massima parte da una borghesia mediamente illuminata, che dal salotto buono arredato con cosine carine e costose comprate al mercatino equosolidale, si sente tanto, tanto vicina ai problemi sociali. Quella che vota Renzi è in massima parte la borghesia patinata e privilegiata dei film di Ozpetek.
E' la sinistruccia dei piccoli grillini in attesa, quelli per i quali Grillo dice cose giuste ma no, Grillo proprio no.
Poi c'è tutta una nuova fascia elettorale. Quella che di sinistra non è. Quella che guarda a Renzi con maggiore schiettezza. Perché non ha da inventarsi che sia un uomo di sinistra. Lo vede per quello che è: un ragazzo saccente, televisivamete ok, che semplifica le cose complesse, che parla sapientemente per spot e che, alla fine, terrà la barca pari perché in questo i democristiani sono storicamente scafatissimi.
Continuerò a sostenere, fino a prova contraria, che Renzi è un uomo profondamente di destra. Empirico, cinico, scaltro.
Machiavelli, suo concittadino, forse ne avrebbe apprezzate certe doti ma non altre.
Nessuna città meglio di Firenze poteva generare una creatura così potentemente ambigua e forte. Una città che non è mai stata realmente di sinistra pur fregiandosi di esserlo. Una città ricca, sontuosa che ha applaudito figli pericolosissimi quali Oriana Fallaci, altra figura terrificante nei confronti della quale si sarebbero dovute prendere ben più marcate e sicure distanze. La Toscana è la terra che ha dato i natali alle insormontabili ambiguità di un Montanelli che ancora oggi ci tocca sentire nominare come grande giornalista senza poter dire, nemmeno da sinistra, che fu uomo ambiguo, colluso, affascinato dai poteri forti (Mussolini prima e Berlusconi dopo....). In Toscana, una terra mediamente benestante e profondamente provinciale, solo la realtà di Livorno fa veramente eccezione. per il resto è terra d'una sinistra salottiera, di potentati territoriali di sinistra pericolosissimi (Siena sia da monito in secula), di leggerezze imperdonabili. Dove parrocchia e circolo Arci sono spesso il paradossale doppio volto d'una medesima faccia.
La terra del tarallucci e vino, che si mobilita ma che non vuole mai essere turbata, i cui equilibri devono rimanere statici e immutati come nei quadri del Rinascimento.
Una terra sottilmente rabbiosa vestita di quiete apparente.
Da qua s'eleva l'ascesa di Renzi.
Da questa terra non sincera giunge dunque l'uomo che oggi ha posto definitivamente fine alla sinistra.
Rottamerà, ne siamo sicuri.
Semplificherà e questo mi atterrisce.
Storicamente la sinistra guarda la complessità.
La destra semplifica.
Ma a guidare la nuova compagine sarà Renzi.
Sarà lui a portarci ancor più lontano da quel senso autentico di apertura, di ascolto, di volontà di mettersi alla pari coi diversi, di prendersi davvero a cuore i più deboli, cioè lontano da quei motori interiori che un tempo, ormai distante, furono chiamati 'identità' di sinistra.
Requiescat in pace.