lunedì 21 aprile 2014

Perché anche quando risorge, Cristo non ride mai?


In questi giorni di Pasqua mi giungono graditi da più parti auguri di Buona Rinascita. Che la Pasqua cristiana coincida quasi sempre con l'esplodere fecondo della Primavera è una questione antica, legata ai culti della rigenerazione e del tempo propizio. Ora, mi chiedo perché un argomento tanto affascinante e bello, anche per le energie che esso comporta in termini di apertura alla nuova stagione, sia stato risolto dalla Religione Cristiana Cattolica con l'ennesima severità.

Maestro dell'Altare di Trebon
Facendo una veloce stima, ho realizzato che nell'ingente mole di arte sacra sopravvissuta ai secoli, il tema della Resurrezione ha avuto una sua fortuna costante ma decisamente inferiore, per quantità, a quello della Crocifissione. Il Cristianesimo ha figurativamente esaltato più la tortura e la morte del Figlio Incarnato di una divinità, più che la sua Rinascita che, almeno per umana empatia, dovrebbe essere invece motivo di gioia ed emozione. Con Cristo risorto, ci dicevano al catechismo, rinasce un Nuovo Mondo. Ridiamo dunque, gioiamone. E invece no. Nell'immaginario figurativo della Resurrezione nell'Occidente Crstiano, Cristo se ne esce dal sepolcro con la stessa aria severa, quando non sofferente, che lo caratterizza in tutte gli altri episodi della vita.
Antonello da Messina, Cristo alla Colonna
Senza nulla togliere alle splendide soluzioni offerte del tema da Giotto, Piero della Francesca o Perugino e tanti altri, devo comunque accettare che la religione cristiana ha sempre prediletto la morte e il dolore. La Croce, questo simbolo così terribile e per me inaccettabile, vince su qualsiasi riscatto effettivo possa leggersi negli eventi che seguono al seppellimento di Gesù. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una chance perduta. Avremmo potuto riconciliarci almeno alla fine con un figlio di Dio che è sempre, perennemente, cupo o severo. Non ritrovo, nemmeno nelle pagine dei Vangeli a dire il vero, momenti di serena gioia, sorriso e effettiva luminosità di Cristo. Egli rimane sempre giudice, austero, sobrio, buono ma mai leggero. E ciò dispiace perché in questo la figura perde di quell'umanità che tanto vogliamo attribuirgli e che io, per mia personalissima condizione esistenziale, fatico invece a rintracciare. Cristo non ride mai. Ora, se negli atroci momenti del dolore e della tortura, la sua umanità si mostra ostentatamente violentata e sofferente, perché mai, una volta risorto, quel giovane così bello e importante non ci concede l'energia feconda di un sorriso? Possibile che nemmeno la Primavera, la pagana versione feconda delle antiche dee genitrici, nel suo esplodere di bellezza, turgore e luce, sia riuscita a dirottare secoli di dottrina incentrata solo sul rimprovero, sulla mistificazione del dolore, sull'esaltazione di un amore perverso che si infiamma solo nel sacrificio di un figlio? Sarò sempre contrario a un Dio che immola suo figlio per la salvezza di tutti. Ma accetterei quel figlio se almeno il giorno in cui egli pare vincere la morte, motivo per cui sarebbe venuto sulla Terra, esso ci concedesse ciò che di più+ umanamente bello esiste: il sorriso.

Francesco Cossa, mese di Aprile (trionfo di Venere)